(e quante volte in quelle ore ad aspettare “al centro della sala” – metro
Majakovskaja, Tverskaja, Teatral’naja, e poi Nachimovskaja e Babuškinskaja, e
quante altre fermate delle linee radiali e di quanti colori, e poi le fermate
della circolare, la linea che Stalin il demiurgo creò con una tazza di caffè
sulla mappa – e solo dopo sarebbero venute le altre, moderne, di più, sotto e sopra la terra: quante volte ho sentito la mia solitudine).
Inverto parentesi. Alla mia destra adesso c’è il mare, nascosto nel buio.
(penso alla mia prima Mosca, sono partita alle sei di mattina di
una mattina, avevo 40 di febbre, sono arrivata dopo 56 ore cinquantasei:
c’erano 40 gradi di freddo. E quando sono arrivata ho letto МОСКВА in un cielo caricato di neve al pari dei cumuli che c’erano in strada, un paese di bianco disordinato e supremo, mi sono ritrovata tra generazioni a me sconosciute, ho provato dentro un male di ghiaccio e ho chiaramente sentito: io qui ci sono già stata).
Un male vero, come fosse una stalattite di fuoco piantata nel cuore. La
forma di un vuoto molteplice: la nostalgia di un passato, un futuro e un
presente – a me sconosciuti.
(un treno che parte dalla capitale, passa per la mia città natale, infila la
città natale di mio papà: ha senso che un treno che arriva a Mosca si fermi a
Cervignano-Aquileia-Grado? E poi l’aldilà del confine, il bel Danubio blu che
nella notte di Budapest è fascinosa desolazione: beffarda premonizione del
nulla sublime di poche ore più in là. L’epifania di una frontiera, in cui un treno
sparisce: per un tempo che non saprai mai, con dentro tutto il te stesso che si
è preparato a partire meno il te stesso che è già partito. Il vuoto gravitazionale di Ciop, scoiattolo orfano in una stazione ucraina di un luogo in cui esiste soltanto quella stazione: e tu che aspetti che ridisegnino rotaie più larghe sotto un treno quantistico che ti sta deportando verso la tua altra vita. Ha senso, che se hai Parigi, tu vada a inoltrarti nel tuo cuore di tenebra?)
Il primo mese, il primo mese dei miei primi mesi è il ricordo di un male
cieco. sordomuto. amputato.
Ineludibile.
“(…)
Io avrei voluto
vivere
E morire a Parigi
Se non fosse che esiste
una terra così – (…)”
(Vl. Majakovskij)
Che sarebbe diventato salvezza, e canto d’amore.
Quella terra è (…)
– Mosca, sì.
Senza fine.
E da tutta questa nostalgia non avrei avuto più via d’uscita, per tutta la vita.
Come quando da quella metro imbocchi il tuo mondo al contrario, il tuo proprio altro –
vychoda net.
Я и есть мир. Но мир – это не я: “Io sono, il mondo. Ma il mondo – non è me” (D. Charms)
