Mare

Il mare? Sì, anche il mare c’è, in Russia.

No, non dico quello che ha nomi – di ghiaccio, di sale, di non-colore; o il mare-non-nome stretto nel suo omonimo stretto.
Dico il mare vero. Quello dell’infinito.
Lui c’è.

È nelle distanze.
È nel tempo che accade tra un luogo e il suo dopo.
È in tutto il silenzio che riempie la Russia.

No, non è nei fiumi e nei laghi. I fiumi e i laghi esistono a sé.

È nella terra. Madre feroce. È nel suo odore. È nelle foreste che abitano i centri di ipermoderne città. Non-parchi non-boschi. Primordiali elementi di civiltà.

Il mare è, in Russia: nelle dimensioni del tutto.

E nella sua dimensione interiore.

Manca la linea dell’orizzonte, del mare. Ma la ritrovi dentro di te: nel filo teso del tuo destino.

È davvero l’immenso.
Nel sole così spesso invisibile che si cela in una tua – eternità.

(e le onde di luce di alberi che sono alfabeto. Intagli neri su pelle d’argento, le betulle sono folclore e sono poesia. Gradini di superiore ascensione o discesa nel sé. Non a caso. Le betulle si bevono).

E come è del mare e della musica.

Noi non si può che non dire.

Tacere?
Silere.

(e qui divido a metà il mio quadro e disegno riflessi che sono sole e il suo negativo).

E un mare di neve.
E un mare di luna.

Il mare, c’è.

(lo sto scrivendo davanti alla mia riga di vita. La finestra che voglio per scrivere. Il balcone ideale su cui guardare il mio gatto che guardi me che guardo lui – in una fallimentare reciproca complice finta di un bellissimo niente.
Una riga di tinta e di vento. Per poi passare – e adesso mi volto – a parole di prosa).
Mare di detto e non detto.

Giro le spalle all’orizzonte. Davanti a me solo cemento. Non voglio più cadere in inganni di non-nostre mai mie realtà.

“Il mare – è reciproco” (M. Cvetaeva).