All’altrogatto (esapedie)

I giapponesi direbbero che hai cambiato il tuo mondo.
Io dico, tu hai di nuovo cambiato il mio.

Prima che inizi però spiegami, deittico tu: perché la tua morte ha per il mondo onore minore di un matrimonio fallito. Tu non hai mai giocato coi dadi.

Un gatto è bellissimo

Anche quando muore.

Vi serve altro, per crederlo dio?

Quelle ultime notti lunghe più settimane, io ho avuto per te una poesia ogni nove minuti. Suonavo la musica che ti piaceva, dentro i triangoli della tua mente tu la ascoltavi dal chissadove. E se tu non mi avessi regalato anche la vita di scorta, io non avrei mai saputo davvero chi siamo, noi due.

La prima parola:

perdona

ogni mia mancanza

per questa nostra barbara usanza

di vivere altro

che non sia perfezione.

(L’ombra di Ol’ga proiettata sulla parete. Stefania che dice: contempla l’essenza. Perché tu sapevi e vivevi – di concessioni all’ottusità). Ecco, io credo: queste strane parole appena iniziate, che sembreranno non essere niente, che non sono un racconto se non un Rach3, che non sono nemmeno tentativi di prosa nella tua superiore poesia, alla fine avranno – La forma di un gatto.

Ogni altra parola lo sai

Si infila in cinque semplici lettere

Che sono ognuna / una ad una /

Una lettera di

A M O R E

Per te

Mio mare, mio (cito?) meccanismo perpetuo. (perpetuo mi piace, ha il rumore del tuo rumore). Io voglio imparare a capire la morbidezza dei libri che ho letto. E quando sarà il mio momento, io avrò già, imparato a morire.

La tua assenza
Mi salverà
Dalla tua assenza

Perché avere sei piedi è la mia segreta magia. Ma le zampe non muoiono mai tutte assieme.

Margherita aveva un gatto.
Aveva è per sempre.

Tu, mi hai insegnato un passo diverso. “Conosci te stesso”,  il tuo testamento di stelle. Io diventerò l’animale selvaggio che vedo allo specchio. Se poi mi chiedi perché avevo buttato via la tua cuccia. Credo, perché io non riesco a dormirci dentro.

Ol’ga per sempre ha Margherita.

Mia dolcissima ipnosi – giustificazione sublime all’incanto: è un pensiero spietato pensare, che il mio gatto diventi parola.

(“Margherita”. Io credo che sia
un nome bellissimo
Da essere ripetuto nella mente di un gatto).

La mia insonnia insensata senza di te. Mi guardo le mani vuote, piene di un genio che non uscirà più. Dove devo buttare, le carezze che mi sono avanzate?

Il mio testamento

– mitologie:

le tue ceneri e me.

Coda-squaletto, che mi accerchiavi in assedio d’amore: io sono troppo di te perché tu non ci sia sempre. Io non ho niente da rielaborare. Tu sei il tutto per cui mi vesto di nero. Ho così tanto da fare, con te.

“Che gambe lunghe” – mi hanno detto.

Gattino mio che sei nei cieli,

fammi dimenticare di quel quotidiano.

Mia bussola di un altro mondo. Remida peloso che hai trasformato in magia anche l’ultimo viaggio blasfemo, tu eri già la mia luna. E sei morto come muore la gente come muoiono i fiori. E mentre morivi tu respiravi tu ti intristivi tu ti spegnevi e tu cantavi.

A solo per gatto

(Il mio silenzio)

Eri l’unica femmina della tua cucciolata. Non io: sei tu che mi hai salvata. Mistero buffissimo e sacro. Mio gatto – Io la tua donna. Ho un metonimico bisogno di te.

Colpita e affondata.

Il linguaggio del nostro amore a distanza.

Ol’ga, miaol’ga, io ho bisogno di un posto maledetto dall’uomo e amato da dio. Per questo ho incontrato Moscafelice. Per questo tu hai incontrato me.

Un gatto nella mia Russia
È più che un gatto.

Quando sei morta, sezione aurea d’amore, per quaranta giorni sei diventata i miei specchi ortodossi. Io mi sono rasata le sopracciglia. Icona a tre battenti. Mi sono tatuata il tuo tuttooggi.

(e qui c’è lo spazio per un anello sul Pont des Arts)

E per questo ricordo.

La Gioia, che si è suicidata dentro al mio telefono. Aveva perso il marito – trent’anni prima era Andrea – il nome che avrei dato a mia figlia: che aveva perso il suo futuro. “L’unica cosa per cui potrei vivere – mi aveva detto assurdamente sicura – è un gatto”. Ma non l’aveva. Per questo la Gioia (suo marito si chiamava Fulvio, lo scrivo solo perché non si pensi che Gioia sia un nome fittizio, di felicità). È morta.

Mio piccolo dio

Perché mi hai abbandonato.

La scrupolosa morte del tuo piccolo corpo.

Anche la brevità è cosa – che ho imparato da te.

“di cinque lettere”

“amore”?

“più bello ancor!”

(To all the cats vanished and gone, mi viene anche in mente, per un gatto morto di AIDS, un gatto – bellissimo. Chissà se esistono gatti ubriachi gatti drogati. Gatti puttane di certo sì. E questo – gatti innamorati: fa loro onore).

Gatto è gay.

Mia Ol’ga, ti scrivo dal mio scoglio che sa di sardine e pepata di cozze. Tu che il mare l’hai solo intuito io ho deciso che ora tu sai nuotare. Ti ho fatto tuffare da questa pietra, mio articolo determinativo e categoriale: da qui io ti getto fiori, e pesci, e parole.

– punti di vista –

Ma come si guarda

gatto Fontana –

da una fessura?

Quando sono andata in Russia la prima volta – quella volta miogatto, ricordi, lo so: io sono salita sul treno di Lara e Zhivago di mattina alle sei, dalla mia città fintroppovera, sarei arrivata dopo tre giorni nella città chenonsapevoancoraesseremia; sarei tornata da te sei mesi dopo – e tu intanto ti eri ammalata, mia ovunquecittà.

(il filo invisibile che siamo)

Ti eri ammalata d’amore.

Prima, mi hai aspettata in ingresso per una settimana intera.

Poi hai lasciato ti portassero al mare.

Tu hai deciso di non mangiare.

(gomitolino di noi)

Me l’hanno detto solo dopo i sei mesi.

Ma ti hanno salvata, e quando io sono tornata, tu eri grassa che neanche ti conoscevo.

– “perché tu, tu no?”

Nemmeno io ero stata bene, senza di te.

La Olga che guarda la neve.
Never. Never. Never.

Ventun anni e mezzo di vita, io e lei.
Scusate, alla fine volevo soltanto questo.
Infilare parole che avessero la forma di Ol’ga Cikova.

Trust. Unity. Freedom. Love.

Monete d’oro di un’arca, dell’arcobaleno.

Avevamo perso la Copertina sette anni prima – dopo una notte ad ascoltare il dolore dei suoi polmoni, io le imponevo il sedicentesalvifico rito. Due anni dopo Maolina, il Gatto Sapiente di mio papà, il gatto-bubu della mia mamma, ci aveva feriti per sempre. Inestricabili dubbi da Inquisitore. E Byron stava per scrivere – Esenin col sangue – i suoi ultimi versi.

Allora io avevo deciso mia Ol’ga, santa di tutte le Russie e badante di vite qualsiasi,  – Io non avrò altro gatto all’infuori di te.

Gatto, noi abbiamo i nostri segreti.
E non diremo a nessuno che non ce li siamo mai detti.

Ma nel gelo di una casa senza più code – tu mi avevi già insegnato, la diversità. Adesso sei nella mia stanza da letto insieme al mio libro.

“Anche scrivere è il mio gatto”

Io non ho mai scritto quando potevo adorare – il tuo pelo di animale ecologico le tue zampe di notti bianche i tuoi occhi di arte moderna le tue orecchie di galleria del silenzio la tua pancia di businessclass le tue vibrisse epocali: chissà che parole mi avresti insegnato dettato, chissà che poesie d’oltretempo – parole leggere cretine incantate inventate – che non sarei stata capace di scrivere. Perché non ti ho mai scritto? Perché potevo guardarti.

Ho sempre pensato che ineffabile fosse parola per i tuoi baffi.

“Stanze feline”:

Baffo ritto
Baffo riccio
Baffo ritto
Zampa arancione
Zampa marrone
Zampa marrone
Zampa marrone
musi – calmente:
Cod
a

Non so perché, mi viene da pensare che adesso sei diventata un gatto bianco.

Non di colore, bianco.

Il mio altrogatto bianco.

Perché le reincarnazioni vanno trattate con orecchio assoluto.

(Dài ricorda,
cinturanera Gherù
Anche di quando ti ho portato un piccione
O sono caduta dal tuo balcone
– quanti gatti sono stati salvati
da un paracadute in cartone?
)

Il nome dell’altrogatto dell’altrogatto era Ol’ga Cikova. Un nome sacroprofano e uno scherzo.

Il suo nome era un confine tra mondi.

Per te che non hai mai
Inseguito un topo
Io uccido il tuo dopo.

Intraducibile: una traduzione?

(e poi che strano, che quando sei morto sapevi di pesce, mio sublimegatto).

Ol’ga, mia Ol’ga,
come sono le cucce – nell’altroqua?

Tu sei il mio SuperIo (non c’è bisogno di Freud per essere eroi)
Tu sei il mio nero nel bianco (non c’è bisogno di Jung per essere yang)

E allora?
Se anche è banale che le mie lacrime
diventino sale?

Ovunquegatto
Tu sei il mio mare
.

Ma posso dire mi manchi, C6 sempre?

Eri poeta e poema
Gli oceani e le nuvole bianche
Che avevi nel muso
Mia musa
Le notti in cui le stelle implodevano
La luna piena
Che avevi nell’anima
E il sole caldo sul pelo.
Guardarti:
era inno e preghiera.

Claudia mi ha detto “Ol’ga era il Tuogatto. Aveva gli occhi, la testa, la vita, sempre pieni di te”.

Ma Ol’ga, miao l’ga
Tu le senti tutte queste
Altrecarezze?

Poi mi ha detto – mettevo il rossetto: non diventerai vanitosa? Ma il rossetto l’ho messo per baciarti la zampa. E tu, gattoablativoassoluto, non avevi niente di zen.

Però dimmi, altrogatto:
vuoi che per te mi faccia
vegetariana?
Non so Margherita
Io adoravo il filetto
Ma è vero
Io non ho mai provato
La carne umana
.

Mio piccolo totem, eri un gatto di campagna, sei diventato ­morbidissimo topo della mia biblioteca.
E allora a chi vuoi che tagliamo le lingue oltraggiose? Non sia per nessuno segreto che sei tu il mio Maestro.

Quando stavi morendo –
Ridiventavi bambina
Quando stavi morendo-
Ingresso salotto le scale cucina
Quando stavi morendo
Mi sono spogliata vicina
Quando stavi morendo
Mi son ricordata
“margheritina”
.

Come sei diventata leggera mia olghetta che ho voglia di prenderti in braccio e ci sei già.
E ogni tuo miao era legge.

Sei impigliata ovunque – dentro di me.
E allora io lo dico lo stesso.

OL’GA

OL’G

OL’

OL

O

Mio anello mancante
Mi manchi sempre di più.

Tu Santagatta che hai battezzato il mio paese interiore all’amore per ogni animale.

Io ti amo, mio gatto.
E mio gatto è per sempre.

Dopo di te, mio sempregatto: la bellezza divina della Tat’jana.

Poi un gattino strano con un nome a metà: che con i suoi occhi più antichi dell’uomo mi dice sì

            “sono io sono qui”.

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