“Leggerezza”, era la parola data. A me è venuto in mente “potenza”.
Ho cinque minuti, annoto quanto segue.
Il popolo russo è fatto di estremi. Di contraddizioni. Etimologicamente, di parole e del loro contrario. (“stare nella contraddizione”: il tratto ontologico del segno musicale, tra il detto e il non detto, tra il dire e la sua impossibilità, stare nell’ineffabile).
Protivorecij ochen’ mnogo, no ich ispravit’ ne chochu…
“Son molte le contraddizioni, ma correggerle non voglio”,
– scriveva Pushkin alla fine del primo capitolo del suo “romanzo in versi”, quell’Eugenio Onegin che dava inizio alla letteratura russa moderna. L’arte, come la vita, è fatta, di contraddizioni. Nella vita, mica si posson correggere. Nella vita si vive, non c’e il rewind.
L’Eugenio Onegin è compenetrato di quella leggerezza di cui solo Pushkin, e Mozart. Per questo Pushkin non si può tradurre. Pushkin si può solo suonare. Per questo Pushkin è morto in duello. Perché l’arte e la vita sono la stessa cosa. La stessa risposta: responsabilità.
E questa è la lingua. I russi in sé non sono capaci, di leggerezza. O forse solo di quella.
Umom Rossiju ne ponjat’ – dice l’altro adagio, “La Russia con l’intelletto non la puoi comprendere”. Sono i versi più famosi di Tjutcev, definizione di un popolo e del suo destino, che così si concludono: “Nella Russia puoi soltanto credere”, se non è pesantezza questa. A quei quattro versi antologici (in mezzo il Poeta diceva che la Russia con una misura consueta non la puoi misurare, che la Russia ha una statura particolare) un poeta della Russia di adesso ha risposto con quattro pagine che all’inizio imprecano, invocano: “Sarebbe ora tua madre p*** di capire la Russia con l’intelligenza umana”, più o meno così. (PS: la minuscola e la maiuscola in ‘poeta’ non sono casuali. La Russia è il Paese in cui Quello stesso ha detto che in Russia un poeta è più che poeta). I Russi sono serissimi. I Russi non prendono niente sul serio.
Se non la loro lingua.
“Grande, possente, veritiera e libera” (e questo è Turgenev)
(La trasparenza di Pushkin.
L’epopea di Tolstoj.
I grani di Gogol’.
L’ascia di Dostoevskij.
I silenzi di Cechov.
Ecc. ecc.)
Leggera e potente.
La lingua sì.
Ma in russo antico lingua e popolo erano una stessa parola.
Contraddizione?
Coesistenza.
(E mi viene in mente Ju. Lotman che scrive l’Onegin: nell’Onegin, dice, l’effetto di semplicità – di semplicità inattingibile, aggiungo io – è ottenuta con il massimo della: complicazione).
Tra.
La lingua russa ha dentro la musica che bisogna imparare.