Skyline

Una parola così straniera. Eppure.

Così straniera per la Mosca di un tempo? Di quale, nostro tempo.

(il profilo delle case basse di legno, i mattoni rossi del non-primo Cremlino, le “cento cupole” e tra di esse i disegni d’oro di neve e di sole; i piani alti di case già aristocratiche nel loro trapasso a coabitazioni forzate, spesso “infittite”, e la poesia dei loro tetti d’estate; i cinque piani dei primi appartamenti che dovevano regalare la privacy e che son divenute macerie di vita – e le inversioni a U della storia vogliono erigere ora a monumento di un’era; le “navi” architetture sovietiche che traducevano una retorica altrui nelle linee di fuga dell’orizzonte; il “fondo” storico dei monumenti che lo Stato riesce ancora a proteggere; i quartieri che dicono di “dormitorio” dove non dorme mai quasi nessuno, perché il tempo di tornare e di andare al lavoro comprende distanze tra nostre città; – la case “a pannelli”, che da fuori si vede come son costruite, appoggiate l’una sull’altra come scommesse di vita. E le Sette sorelle di Stalin, le “case alte” costruite a immagine e dissimiglianza del Chrysler, Nemico Supremo moltiplicato per sette – solo perché l’ottavo non-grattacielo non fu).

Non erano grattacieli, “i denti di Stalin”. Erano solo “vysotki”, vysotnye zdanija cioè, “edifici alti” chiamati a incorniciare il centro di Mosca. L’ottavo doveva essere il più alto di tutti, doveva sorgere al posto della Cattedrale di Cristo Salvatore fatta saltare dai bolscevichi, lì si doveva erigere il Palazzo dei Soviet progettato dal grande Iofan, lo stesso della famelica Casa sul Lungofiume. Palazzo che non fu mai, ma di cui furono quadri e iconografie, sul suo sfondo i ritratti dei Duci, lui Palazzo mai stato che fu simbolo estremo di una possente semiologia. Sul suo posto viene inaugurata una piscina, fondamenta decrepite che diventano il fondo, Mosca è costruita sul mare dicevano se scavi lo trovi: piscina rotonda rigidamente divisa a settori quasi una sfida alle leggi della geometria – in centro un trampolino olimpionico, una piscina rotonda all’aperto in pieno centro di Mosca, la temperatura era tale che si dice le spie si incontrassero lì perché il vapore rendeva impossibile decifrare il labiale. E poi la piscina marcisce come la sua scommessa, e la storia si ricostruisce sulle fondamenta incapaci di accogliere un’utopia – il Palazzo dei soviet doveva essere il Palazzo più alto del mondo, e in cima un Lenin di grandezza reale a indicare il “radioso avvenire” con la mano destra, la sinistra in tasca, in testa il berretto, dentro la testa chissà che cosa. C’è chi ha sostenuto che Lenin abbia sognato la rivoluzione in preda a funghi allucinogeni. C’è chi dice che lo stesso Lenin fosse frutto dei funghi allucinogeni mangiati da un’intera nazione – la Storia ricostruisce la stessa Chiesa di prima. Però nel frattempo ha imparato dai tre porcellini e la erige in cemento. Pachiderma inviolabile sedicente divino che vomita canti sul maxi-schermo del Patriarca Kirill.

(mio papà che si orienta sullo skyline dell’Università, ma è lo stesso di sette che sono identici, incorniciano Mosca e mio papà diventa piccolo come quella volta che aveva colto per mamma un girasole in un campo, lui enorme, lui montagna, lui uomo sgretolato dal suo dissesto interiore)

I grattacieli, etimologici: sono solo di adesso. Sono l’ossimoro di Mosca di Moskva-City, citazione compiuta della modernità. A me piacevano di più in tutti gli anni in cui sono rimasti incompiuti: ottanta piani tirati su in una notte e lasciati lì per notti infinite – di mesi di anni – nel deficìt degli anni Novanta. Ma quanto erano belle le feste a cielo altissimo aperto sul cielo – e sulla città.

(lo skyline esibito dal punto di osservazione delle Colline dei Passeri, l’Università ti guarda le spalle tu guardi Mosca come Napoleone che non l’ebbe mai, da lei mi divide la balaustra il trampolino da sci il rombo dei bikers la limousine bianca dei miei 40 anni la neve il 21 non di primavera quanta neve quanto bianco quanto silenzio quanto verde quanta gente gli abiti bianchi delle spose che qui fotografano ognuna la propria conquista la propria genealogia)

E poi c’è lo skyline a rovescio, la città-monumento della metropolitana – scavo archeologico di un regno da costruire, retorica in marmo, dal centro della città verso la periferia dell’impero è un viaggio avanti nel tempo: dalla Terza-Roma Antica alla Russia sovietica – che adesso prolifera in anelli e rami di inaspettato futuro. (e il mondo alla rovescia dei bunker, ristoranti alcuni altri vuoto abissale, e il segreto massone della Metro2, fantasmatica linea segreta che doveva portare in salvo il Padre dei Popoli dal centro di Mosca al suo aereo lontano da ogni utopia).

Skyline che ti orienta secondo la logica sua. La logica doppia. Del dialogo? Del dio del luogo.
Ogni linea qui è anche uno specchio – il ghiaccio, il fiume, il fiume di ghiaccio, il cielo di ghiaccio e di cielo e di tutto – è il mondo che si riflette sopra e dentro di te.

Cardiogramma di una città in costante fibrillazione. Moscow never sleeps.

In Russia lo skyline è di parole.


(e le linee diritte le righe le righe parole parole le pagine pagine le ore su ore chilometri e ore le viscere archivi le biblioteche di stato le case editrici fondate affondate i silenzi i misteri sottoscala conquiste segreti le prime parole le feste gli inciampi grammatica precipito dentro la mia second life)

Orizzonte di eventi?
Precipito dentro la Russia.
La Russia no.

Krugozor, girotondo sul mondo, son tutti caduti per terra ma io sto imparando a volare.
Giro lo sguardo.
Orizzonte.
Non limite.

(parola data da A.)

“Ricordi, Paris – Moscou?”
(La città ideale, strisce dallo Zarjad’e dal Centre G. Pompidou, 2019a,b)