Gli stivali di Pushkin, e un gatto con la traduzione.

… E poi Lucifero, il più bello degli angeli, gli creò lo studente…

Mezzanotte a Mosca. Sfarzosa l’estate buddista.
Con fitto scalpiccio si dipartono strade in stretti stivali di ferro…
(O. Mandel’štam, Quaderni di Mosca)

Ho male all’anima, oggi. I russi dicon così. У меня душа болит. Il mondo è infetto, non c’entra la pandemia. E io rileggo Boris Godunov.
Sentite che meraviglia:

Ах! чувствую: ничто не может нас
Среди мирских печалей успокоить;
Ничто, ничто… едина разве совесть. 
Так, здравая, она восторжествует
Над злобою, над темной клеветою. —
Но если в ней единое пятно,
Единое, случайно завелося,
Тогда – беда! как язвой моровой
Душа сгорит, нальется сердце ядом,
Как молотком стучит в ушах упрек,
И всe тошнит, и голова кружится,
И мальчики кровавые в глазах…
И рад бежать, да некуда… ужасно!
Да, жалок тот, в ком совесть нечиста.

Che suona più o meno così.

Ah, lo sento: nulla ci può dar pace
Tra gli affanni del mondo.
Nulla, nulla… se non la sola coscienza.
Essa, se sana, saprà trionfare
Sull’odio e sulla cupa calunnia.
Ma se un’unica macchia, anche una sola,
Per caso vi compare, allora –
Disgrazia! Come da peste infetta
Soccombe l’anima, trabocca di veleno il cuore
Martella gli orecchi il rancore
E nausea perenne e vertigine
E negli occhi bambini nel sangue…
Vorresti fuggire, ma non v’è dove… Orrore!
Sì, misero è chi ha la coscienza non pura.

Che poi capisco, così suona molto meno meraviglia.
E però. Traduzione a parte.
A me martella in testa un:
“Perché?”
Ma non ho risposta.
Allora ricorro a quello cui ricorro in extremis quando non ho altro a cui ricorrere.
Il gatto.

Tat’jana nemmeno, però, sta benissimo: è un periodo un po’ così. Allora io e lei, fiera fiera, rappresentante in auge della stirpe delle gatte Cikova, noi due insomma decidiamo di fare una cosa che facciamo poco, a dire il vero, ma che quando la facciamo la facciamo insieme: guardiamo la TV. Ta’jana, cioè Tati, lei, a volte la guarda anche spenta, ma quello di solito lo fa da sola: ieri sera invece avevamo bisogno di non pensare, pensavamo. Avevamo bisogno di un supereroe, che ci desse pace tra gli affanni del mondo. E lo abbiamo trovato. Affascinante, intrigante, sbarazzino e salvifico: con la voce suadente di Antonio Banderas. Rosso di pelo, pizzetto e baffi lunghi, cappellaccio calcato e cinturone con fibbia, era lui, Gacco Bali: “Ecco sire un coniglio per voi…”. Il vendicatore delle coscienze non pure. Il Gatto degli Stivali luimême.

“Checco tille nillo boi…”: eroe di un tempo in cui io distorcevo già le parole con pedante premonizione del mio futuro, il gatto fiabesco mi porta all’istante in un tempo in cui in natura esisteva un solo dizionario bilingue russo-italiano… In due tomi uno verde uno beige, aveva l’odore che avevano tutti i libri russi, che tutti uscivano soltanto nelle edizioni di stato. Un dizionario redatto in un tempo in cui l’Erasmus non esisteva in natura, un tempo in cui, in Russia, non esistevano nemmeno i confini: semplicemente perché non si potevano varcare. E allora la lingua la imparavi dentro di te, dentro il tuo studio – sempre un po’ matto ecc. ecc. – dentro la tua voglia la tua dedizione, la tua ossessione la tua perfezione. Magari anche con Al Bano e Toto Cutugno, e che male c’è. Noi qui della Russia non si conosce nemmeno Alla la Primadonna.

E quella diventava la nostra, enciclopedia. Non c’era internet non c’erano i corpora, e la ricerca di documentazione passava per i contorcimenti delle trascrizioni straniere in russo, e per pagine e pagine cataloghi archivi schedari abduzioni – scommesse e anche eresie. Colonna dopo colonna, leccandoti i polpastrelli di fonzies (di fonts) cirillici, variamente disordinando il rigore delle trentatre trentine dell’alfabeto, tu lì cercavi, trovavi, ti perdevi tra la tua lingua che si piegava alla lingua altrui e la lingua altrui che a volte tradiva la maschera. E il tuo amatissimo Кот в сапогах si trasformava in un eroico e imperituro: Gatto stivalato.
Come sono belli, a volte, gli inciampi della retroaduzione.  In questo caso, della traduzione rétro.

Ecco, pensavo poi, forse la differenza sta qui: che “petaloso” è brutto, buonista, imbonitore; “stivalato” è brutto lo stesso ma c’è dentro l’anima, il lavoro, il sudore – e poi fa sorridere. (Ma cosa c’entra qui Pushkin? C’entra sempre, lui, con la lingua russa: e con l’intraducibilità. Quanto agli stivali, di Pushkin, li aveva un gatto, non vedo perché lui no. In un popolo che se vuole li mette anche a una pulce…).

E quell’epoca lì non era ancora “di seconda mano”, e se camminavi per i viali di quella che si chiamava VDNCh – acronimo intriso di realia sovietici – se camminavi per quei viali dagli altoparlanti della filodoffusione sentivi cantare Raffaella Carrà. (Betulle. Piazza Rossa. Aeroporto Sheremetevo. Il metro Majakovskaja. Ritmi e costumi, lei c’era, e c’era l’URSS). Allora ti veniva la nostalgia ma non si sa bene di cosa, della tua patria, di quale, e allora andavi a fare un giro in giostra, una giostra piccola, di ferro, indistruttibile come gli aerei, le macchine, le giostre da cosmonauta: poi su quella grande, quella panoramica, sulla sua ruota che si sarebbe inceppata per sempre sui meccanismi della corruzione – gira la fortuna gira la fortuna della ruota della fortuna risorgerà nel Parco del Futuro promettono accoglierà il museo delle cere il museo c’era bisogno? E tu rimanevi lì, incastrato tra cielo e terra, tra un sì e un no, tra la tua vita e la morte che Tolstoj ti aveva già detto – “la morte non c’è”.

Ecco, il mio male all’anima.
Oggi il Reno esonda e la terra si rimangia noi. Ricordate? Anche le balene vomitano l’uomo. Sorrido di sorriso amaro. Mi circola in mente la freddura russa – Dio che crea il professore, lo vede felice del suo lavoro, si ingelosisce: e gli crea il collega. Ma c’è poco da ridere. Siamo colleghi anche noi. È sempre il punto di vista, che detta la legge.

O il punto vistato, che dir si voglia.

Не горюй, хозяин, а дай ты мне лучше мешок да закажи мне пару сапог, чтобы не больно было ходить по кустам…