9 maggio ’23

Oggi, 9 maggio, è il 9 maggio.
Oggi, 9 maggio, è il 9 maggio in Russia.
Oggi, 9 maggio, è il 9 maggio in Ucraina.
Oggi, 9 maggio, è il 9 maggio in Italia.

Ma io non voglio parlare di oggi, 9 maggio.

Perché oggi, 9 maggio, è il 9 maggio in Russia. E Putin ha detto che qualsiasi ideologia di superiorità è per sua stessa natura disgustosa, criminale e foriera di morte, anche se i giornali hanno tradotto mortale, perché lui questa cosa l’ha detta in russo, e l’ha detta il giorno in cui si celebra il Giorno della Vittoria, il Den’ Pobedy. Ma non voglio parlare di oggi, 9 maggio in Russia.

Perché oggi, 9 maggio, è il 9 maggio in Ucraina. E Zelensky ha detto che lui il 9 maggio lo festeggia l’8 maggio, che è il Giorno della Vittoria, mentre il 9 maggio festeggia il Giorno dell’Europa, che festeggia il 9 maggio l’8 maggio anche lei, il Den’ Pobedy. Ma non voglio parlare di oggi, 9 maggio in Ucraina.

Perché oggi, 9 maggio, è il 9 maggio in Italia. E in Italia il 9 maggio lo festeggiamo il 25 aprile, noi, il Giorno della Vittoria, mentre il 9 maggio festeggiamo il Giorno dell’Europa, che L’Europa festeggia il 9 maggio il giorno prima. Noi il 9 maggio festeggiamo i 75 anni del nostro Senato, come ha detto La Russa che in Senato ha festeggiato i 75 anni dello Stato di Israele. E in Senato, l’8 maggio, canta Gianni Morandi, e in Italia il 9 maggio si celebra la Giornata nazionale contro il terrorismo. Ma non voglio parlare di oggi, 9 maggio in Italia.

Ma mica per niente, sapete. È solo che oggi, 9 maggio ’23, voglio parlare del 9 maggio ’23.

SIGLA

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Milleottocento, ventitré.

Ecco. Me lo ha ricordato Karin, che glielo ha ricordato Vladimir. Nabokov, Vladimir. Che il 9 maggio del 1823 il sole della poesia russa, il nostro tutto, iniziava a scrivere l’Evgenij Onegin. Questo le ricordava Vladimir. E io, cari amici di Ruslan e Ludmila, io oggi festeggio la cosa più bella di tutte le Russie, sì.

La più intraducibile, proprio quella. Che poi a Karin – Plattner, Karin (che ha fatto, anche, molte delle foto, qui) – Vladimir glielo ricordava in un libro che si chiama Intransigenze. Che è un gran bel titolo, direte voi, solo che non l’ha scritto lui, che ha scritto Strong Opinions. E le t, le r, le s, le n, d’accordo, anche le g, ci sono in entrambi i titoli: ma che Pushkin sia negro mica vuol dire per forza che è un rapper, no?

“E una lacrima è una cosa intellettuale”, leggo.

La leggo, questa cosa, in un libriccino che si intitola Lost in translation, che è dove si è perso pure l’Eugenio, ahimé. “La mente del comune animale mortale in preda al linguaggio ha una sola madre e una sola lingua”, ci leggo, mentre il traduttore, convengo – pur animale e mortale (ma non “portatore di morte”, cit.) – tanto comune non è: “creatura di confine”, “frontaliero per indole e per mestiere”, ancorché “per destino”, il traduttore è abitato da un “profondo, doloroso senso d’appartenenza”, scrive Ottavio Fatica. “E una lacrima è una cosa intellettuale”, sic. Lacrime nella pioggia, le traduzioni italiane di Pushkin, lui cyborg della letteratura mondiale, Blade Runner della lingua russa. E tu puoi cambiare quanti cavalli vuoi, alle tue stazioni di posta, ma rimarrai sempre uno sherpa che arranca a fatica, come dice Fatica. (e tra parentesi ringrazio Laura Gazzani che alla festa di Pushkin ci ha portato in pullmino, a fianco di Sasha). “Il traduttore è il poeta del poeta (…), un poeta al quadrato” – sottolineo ancora – “e se una poesia è da tradurre poi in altra lingua, e poi di nuovo in versi sarà un’opera al cubo”, sorrido. E mi chiedo con lui (e con Giuliano l’Apostata prima di lui): “in che lingua parlava il serpente?”. Perché anche questo, valenko a parte, mi sembra c’entrare moltissimo. Con la traduzione, e quindi con Pushkin, con tutta la musica detta e non detta, e anche con oggi, con il 9 maggio, del ’23. Pausa.

PS: un po’ di queste immagini, e le nostre sigle, le usavamo, e inventavamo, noi KRD_MDM, per una lezione su Evgenij Onegin tenuta dentro una cosa bellissima che inventava la prof.ssa Claudia Olivieri, al secolo amatissima C- (cfr. qui). Era il 9 maggio anche quello, e noi conquistavamo Catania con un doppio atterraggio, reale e virtuale, à la Russkie Gopki (cit.). Non so che anno fosse, non lo so più, è passato troppo troppo poco tempo, era un’era ch’era dopo la pandemia, ma prima o dopo che la guerra diventasse una guerra? Oggi invece, 9 maggio, è il 9 maggio 2023. E nella libreria di una stazione ho trovato uno stand dove c’era scritto, che si leggeva bene, РУССКИЕ КНИГИ, cioè Libri Russi: e c’era anche Aleksandr Pushkin, e c’era anche lui, Evgenij Onegin, lì. E io ho lasciato cadere una lacrima, cosa intellettuale eppure bellissima. И жизнь, и слёзы, и любовь.

“Resta ancora molto da dire”, leggevo oggi Amos Oz, la sua ultima lezione, che si chiama così. Resta ancora molto da dire.
“E vita, e lacrime, e amore” – nemmeno questo si riesce a tradurre, dov’è la musica, Europa, dov’è finita l’Europa? La traduzione è il vero opposto alla guerra, si dice, “La verità è che non ho molto da aggiungere”, dice Amos Oz. “Adesso tocca a voi”, dice poi, che lui si è già occupato “di un deposito d’armi”, e queste armi sono le parole. E la traduzione è trasferimento di vita. Il Cantico dei Cantici, traduzione di A.S. Pushkin. Sigla.

https://www.dropbox.com/s/x1gac04vkr2f2au/EO_atterraggio.mp4?dl=0