[in copertina: “La felicità è in te”; “Ti lovvo Sashka!”, muri del Vinzavod, Mosca 2018]
Nel post precedente, O sukaregizme, avevamo tracciato un’isotopia tra le ciliegie, i suchari, e le careghe: quindi finire in giardino, anzi ne Il giardino, era inevitabile. Ma non sfrutteremo qui le valenze di questo titolo, riconoscetelo, alquanto invitante. Né esauriremo in queste poche riflessioni l’argomento di cui sarà questione. Ci limiteremo a pochi cenni, anche qui non manifesti ma volantini, foglietti di carta – di una carta invero speciale. Perché il titolo è di pretesto, come incipriarsi la punta del naso: per introdurci a tutt’altro. Più precisamente, a una confessione. Accomodatevi.
La confessione in realtà dovrebbe essere di un traditore, in primo luogo. E il traditore naturalmente, secondo l’intraducibile adagio di sempre, è il traduttore. La sua confessione, dovrebbe svelare quello che egli troppo spesso fa: manipola l’originale. Può farlo in diversi modi: o perché casca nei tranelli del testo, o perché lui stesso contorce parole piegandole al suo proprio gusto, quando non a sue proprie intenzioni. Ma aspettate un attimo, intanto mettetevi in fila, come delle brave careghe.

Cui sé senta su do scagni se pìssiga al cul.
Questo scritto di un anonimo pre-veneziano (segnatamente gradese) occhieggia da una tovaglietta mentre sto seduta al tavolo di un ristorante, su una sedia che mi seduce, lo ammetto, non poco. Credo che le careghe sian fatte proprio così, ma poco ci importa. Ci importa invece questa verità, che porta inevitabile ad altre considerazioni: segnatamente, alla destinazione delle careghe. Al destinatario, meglio. Che non è il traduttore, da sempre seduto in due sedie: ma una sua parte, anch’essa fondamentale per ogni traduzione. Forse non era un caso che un traduttore appunto, affrontando nientepopòdimeno (?) che Frammenti di Estetica di Gustav Shpet, confondesse la sede dell’anima con il suo deretano. E qui ci avviciniamo al punto.
Le confessioni di un Omonimo.
Sì, riguarda la traduzione finale: la chiusa a effetto di O sukaregizme era un inganno. Poco vale che più che a Pushkin quei versi paiano appartenere a una lezione di farmacologia, che ne sfrutterebbe una versione popolare, quasi più ingegnosa dell’ingegnosissimo originale, che avrebbe modificato l’originale eufemismo del sole burlone della poesia:
Кто каждодневно поутру
Идет на двор без принужденья –
Тому всё в жизни по нутру,
Ему доступны наслажденья!
Chi ogni giorno al mattino
Va in cortile senza costrizione –
Tutto nella vita è di suo gradimento,
Il piacere è a sua disposizione!
(lo lascio così – tradotto in rima da GooglePushkin!)
Come vedete, nessuna carega nella quartina giovanile di Sasha: solo corti o cortili, ad auspicare auspicabile regolarità quotidiana. E la presunta lezione di farmacologia era dedicata ai mezzi “di costrizione” in caso di necessità. Ai lassativi, cioè! Sveliamo allora l’arc_ano: “stul” (стул), innocua “sedia” per la maggior parte delle sue occorrenze linguistiche, in realtà è anche il prodotto di quando vi occorre nella realtà. È così che quel distico con cui avevamo scomodato “il nome felice” diviene un caso in cui una traduzione sbagliata in retrotraduzione dà un originale giusto. Insomma, in una lingua: la sinonimia non esiste, ma l’omonimia eccome. E qui il cerchio si chiude, anche quello che sta sopra la presunta carega di Pushkin. E forse i versi gli eran venuti perché aveva mangiato troppe ciliegie.
Малина самое лучшее слабительное средство,
особенно если в ней сидит медведь.
I lamponi sono il miglior lassativo,
soprattutto se trovate un orso che si mangia i vostri.
Ah la saggezza popolare! La variazione sul frutto è scelta a bella posta, ma non coglieremo la facile provocazione che ci riporterebbe al giardino (a Il giardino) e alle dispute filologiche su quale frutto avesse di fronte Cechov. A noi, ahimé, interessa quello che aveva didietro. Né cederemo a un’ulteriore deriva, modificandone il titolo originale, Vyshnevyj sad, in un suggestivo Vyshnevyj zad… (sad è giardino, zad è il lato B. Perché i fonemi non son noccioline). Insomma, il giardino alla fine c’entra molto più di quanto si creda, anche perché nella Russia di Pushkin si andava a farla fuori, da cui il francesismo sortir. Ma il giardino delle careghe naturalmente non esiste, e anche il traduttore sarebbe bene, ogni tanto, avere il coraggio di mandarlo a… mangiare.
Язык простонародья как маятник между жрать и срать.
La lingua del popolo è come un pendolo tra mangiare e cagare.
(M. Cvetaeva)
E qui mi passa davanti la vita che c’era, e tutti i cessi di cui ho nostalgia.

Теперь же скажу несколько слов об отхожем месте
E quindi adesso dirò qualche parola sulle latrine.
(A. Cechov, L’isola di Sachalin)
Allora vedo:
– il mio primo bagno del mio primo albergo russo, era URSS era l’albergo “Inturist”, l’unico viaggio organizzato della mia vita non si poteva ancora altrimenti – nel bagno della nostra camera attività frenetica di contrabb…agno – le cameriere entravano e uscivano per comprare collant;
– il mio primo bagno del mio primo ostello, a Leningrado città che non c’è più, io regalo a Sergej il mio Infasil intimo perché “non sai che distillati di vodka si fanno”;
– il bagno del mio primo appartamento della seconda borsa di studio, era Mosca un appartamento in remont, R. si infuria perché io che son miope lascio capelli nel cesso di casa, R. non so che disturbo abbia che non vede che viviamo in un cesso di casa;
– il bagno del non-mio primo ostello di Mosca con l’amico di amici che fa cucù da sopra la porta;
– il bagno del mio primo ostello mio che perdeva quello del piano di sopra faceva corto circuito e io ci andavo in pigiama con un libro la pila e gli stivali di gomma da Paperinik;
– il primo cesso (pardon) della prima kommunal’ka, da una parte il bagno e separato il wc, spazio solo per la carega e quattro mura cieche intorno, alle pareti le tavolette appese a chiodi ogni famiglia ha la sua;
– il primo cesso della prima chruscevka, tiravi l’acqua e scendeva bollente, facevi la doccia e puzzava di gas;
– Evroremont! Il bagno ristrutturato di casa di un italiano, occupato sempre però dalla fidanzata russa – in pratica un appartamento senza bagno con gli scarafaggi sovietici murati dietro il cartongesso della civiltà;
– (via Usievitch, il retro dei cassonetti giù in strada, nel caso);
– il bagno del mio professore con il primo bidet di tutte le Russia – lo tsar bidè;
– i cessi nella via verso Suzdal’ che fai la fila passi la porta e ti trovi tre buchi piastrellati per terra separati da un po’ di mattoni;
– (stessa variante con i buchi sollevati di qualche gradino i muri completi ma le porte che non esistono ancora);
– i cessi nella via verso Vladimir’, entri in una casetta di pietra ti metti in fila come careghe, su un piano rialzato la faccia al muro inginocchiati a braghe giù: e via le cacche lungo un piano inclinato lo stronzo che arriva primo all’altra parete non vince niente nei cessi vige lo spirito olimpico – la gioia della partecipazione “senza costrizione”;
– (e subito dopo al monastero accendi un cero perché non sei scivolato tu);
– le casette-prjanik fuori città che no non sono di pan di zenzero sono di legno come tutto anche dentro romanticismi? il legno si impregna per bene si sa;
М-Ж. Èmzhè. (M-F). M-W. (Maestri e Woland, cioè?)
– i bagni obschestvennye pubblici sul Tverskoj bul’var, M da una parte dall’altra Zh, ingressi distinti lontani mezzo viale inferriate art-deco scale profonde e sottoterra: cessi comuni con l’uscita da entrambe le parti. Potenziali rifugi antiatomici che si riuniscono incognito al suono (rumore?) del comunismo;
– E il primo cesso a pagamento di fronte al McDonalds, sempre “occupato” – ci dormono increduli (palazzi insperati!) i barboni;
– E i cessi a pagamento dei grandi magazzini GUM tariffa tripla per gli stranieri;
– E i cessi del tempio: la Biblioteca Statale (ex)Lenin, discese agli inferi delle anticamere dov’è permesso fumare l’odore densissimo e cieco delle senza filtro sovietiche fatichi a trovare la porta – o l’ascesa all’empireo dei cessi di archivio.

E poi i cessi dei primi anni Novanta, e le gallerie d’arte, e i cessi che sembrano matrimoniali due water vicini da tenersi per mano; i cessi e Celentano che canta una tazza di fronte all’altra bizzarro dialogo che continua lì (ritorno un anno dopo gli stessi cessi la stessa porta comune ma un muro innalzato non si ha più niente da dire).
E poi i cessi dei primi locali profumi musica fiabe e naturalmente wi-fi; i cessi dei locali VIP non stanze s udobstvami come si dice delle stanze d’albergo “con tutte le comodità” ma comodità che sembrano SpA senza le camere intorno – cessi con dentro intere betulle, con dentro i colori, con dentro il buio e l’assurdo; e poi i bagni dei primi grattacieli, io e Kira che ci vestiamo bene andiamo in tour per bar e ristoranti, votiamo gli interni dei bagni e le viste su Mosca.
E i cessi castelli di specchi.
E i cessi per sempre sovietici dei teatri bol’shoj dove le russe finché esisteranno andranno a cambiarsi le scarpe e incipriarsi il naso ormai sempre rifatto.
E i pissuar di Olga Soldatova, il suo atelier vicino ai bagni del Centro d’Arte del Vinzavod, contenitori lustrati di lustri post URSS. (E quegli stessi diventano pissoir miliari nel sentiero che porta alla sua dacia…)
(- i cessi di nuovi lussi – dentro case della Rublevka a fianco di stanze infinite le stanze private dell’animale (civetta!) di casa;)
(- i cessi d’oro di nuovi russi, non da museo ma da uso comune;)
E il cesso-metafora dei tempi nostri, il sortir putiniano in cui stanare il terrore.
[pausa.
Poema “nel genere della tradizione pushkiniana”,
litanie dal confine di un’era,
Timur Kibirov, Sortiry, 1991]

“Il luogo dove lo zar va a piedi…”
Отхожие места
Нужник
Ретирадник
Уборная
Гаванна
E naturalmente:
Туалет
(Tualet: Ty Ushel A Ljubov’ Esce Tleet i tatuaggi dei detenuti – “te ne sei andato ma l’amore arde ancora”)
“Luogo appartato”: ermitage.
(il cesso-bus davanti al museo Ermitazh)
Al Museo Ermitazh, la toilette progettata da Gianni Versace.
E Caterina seconda che muore cagando, dal più grande water che dà sull’Europa.

Писaть e Писать (pisàt’ e pìsat’), scrivere o pisciare, la verità in un accento (ma pisàt‘ è anche disegnare).
Это в нас просыпается художник, когда мы хотим писать и видим снег! (Nasha Russia)
“È in noi che si risveglia l’artista quando dobbiamo pisciare e vediamo la neve!”
(E le volte che la fai nella neve – ma si ghiaccia prima di toccare terra).
La ribellione nasce nei cessi! Il marinaio in Ottobre di Ejzenshtejn rompe l’unitas imperiale; Lenin promette bagni comuni dorati nelle vie delle più grandi città del mondo: ma bisogna prima vincere il mondo – cessi d’oro al nemico che fugge!
2006, Mosca, Maneggio, “Vsemirnyj tualetnyj sammit”: la Russia presenta un water di forma sferica color argento in forma di sputnik.
Учись, салага! А то всю жизнь будешь ключи подавать!!!
(l’idraulico senior e l’apprendista idraulico di una barzelletta di grande suc…cesso: il primo entra nelle fogne fino alla gola e si fa passare gli arnesi dall’altro. Esce tutto sm*** e ammonisce il novellino: “Impara, scimunito! O passerai la vita a passare arnesi!”)
E cerini e verevki e i calendari dell’anno prima e le riviste Ogonek e Krokodil – quelle a tirature più alte di carta grossissima i cessi della capitale intasati di letteratura.
E i cessi che si pulivano dando fuoco al giornale: e poi la Russia invasa dai deodoranti, peggio il taccone di ogni buso;
[Bonus track, Vysotskij: Баллада о дестве, 1975, “Ballata sull’infanzia”, …система коридорная,
На тридцать восемь комнаток всего одна уборная (“un gabinetto solo per trenta e tante stanze”]

Ecco. Non un manifesto, dicevamo all’inizio. Qualche foglietto di appunti qua e là. Ma fate attenzione, con i vezzeggiativi: che a volte nascondono insidie. Così, tra bumaga e bumazhka si insinua di nuovo Sashka: “Tat’jana mnjot v ruke bumazhku / zane zhivot u nej bolit” – “Tat’jana credo ha mal di pancia, regge foglietti…” – proprio così.

[Accenno varianti di carta: niente; foglie; neve; carta vetrata; giornali, riviste, il Capitale di Marx. E la carta di seta offerta dall’addetto in divisa dei ristoranti stellati di adesso].
La carta igienica, in vendita solo dagli anni ’80.
(il mio primo ostello, la carta igienica di cui avevo riempito la valigia su consiglio esplicito della prof. russa, non le ho mai detto che è stata merce merce preziosa di scambio una doppio velo per un souvenir; il mio secondo ostello, appena alzata sto andando in bagno mi intercettano un’intervista per un giornale universitario, sotto il braccio ho un rotolo e non mi vergono è per quello che mi hanno fermata è segno di status lo so).
E la carta igienica di informazione, distribuita in Piazza rossa ha stampati gli articoli (il segno forte!) di Kommersantъ;
E il nome di una carta igienica vera: il segno morbido, il mjagkij znak.
Vedo Cirillo e Metodio orgogliosi, dai sacramenti agli escr…
(E i russi che corrono a riempire le avos’ke: la carta igienica al tempo del Covid).

Insomma.
Quanta cul_tura serve a un traduttore, prima di sedersi a… tradurre. E se non è un viaggio questo, anche nel tempo: in pochi anni dalla Rus’ kieviana a Mosca, Galassia.
Da Cessesser a Ciessei.
Oh! Vedo Susanin che mi fa cenno. Mi allunga un libro di È. Limonov, U nas byla velikaja èpocha (La nostra era una grande epoca), è aperto su un passo che dice: “Una notte, alzatosi per andare a pisciare, invece che farla nel vaso che stava dietro la tenda centrò per sbaglio lo stivale del padre”. Ma qui vedo il gatto stivalato che mi dice “Marghe, basta, anche no”.

Если вы до сих пор думаете, что ваша жена любит вас больше, чем вашего кота, попробуйте тоже нассать ей в сапог.
“E se pensi ancora che tua moglie ami te più del gatto, prova anche tu a farla nei suoi stivali!”
Perché la cultura è un grande rizoma, e il mondo è pieno di peri_pezie.

PS: scusate se vi ho trattenuti così a lungo. Speravo in qualcosa di più meno stimolante. Perché ne è venutа fuori una cosa degna al massimo di un pam… no, non di un pamphlet. Di un pampers, direi.
…разруха не в клозетах, а в головах
“… la rovina non è nei closet, ma nelle teste!
(M. Bulgakov, Cuore di cane)
Con un po’ di suspense traduttiva anche qui.
